Lost Chapter of Runeterra

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    Alexander e Svalinn, L'Egida d'Acciaio

    117Dios
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    Data d'iscrizione : 11.04.16
    Età : 28

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    Vita:
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    Alexander e Svalinn, L'Egida d'Acciaio Empty Alexander e Svalinn, L'Egida d'Acciaio

    Messaggio Da 117Dios Mer Apr 20, 2016 3:24 pm

    FISICO

    Età: 26
    Altezza: 1.92m
    Capelli: Corti. Castani, lievemente tendenti al biondo.
    Occhi: Nocciola (Striature castane, verdi e ambrate)
    Fisico: Robusto e abbastanza muscoloso, quasi fosse un dono naturale.
    Segni particolari: Dorso ricoperto di numerose e piccole cicatrici.
    Archetipo: Tank
    Scheda Personaggio: Qui!

    STAT

    Forza: 14
    Destrezza: 10
    Costituzione: 16
    Intelligenza: 14
    Saggezza: 10


    PSICOLOGIA

    Inizialmente insicuro, Alexander, col tempo, divenne sempre più isolato dal mondo, dedicato a ciò che lo appassionava. Benché uscisse e ogni tanto gli capitasse di fare ciò che gli pareva, non possedeva una vera e propria vita sociale. Si concentrò sui suoi progetti e il risultato fu Svalinn. L'armatura lo protesse nei momenti cruciali e iniziò a trattarla come l'oggetto più caro che avesse, sviluppando qualcosa che lui definiva come un legame simbiotico, anche se era tutta un'esagerazione. Schietto e riservato, dopo l'attacco da parte dello scagnozzo della madre perse ogni voglia, ogni aspirazione e ogni desiderio. Quando fu preso da Harold, inizialmente traumatizzato, diventò molto più aperto e sicuro di sé.
    Decise di non utilizzare più il cognome della madre come proprio, simbolo dell'odio che provava verso di lei. Il suo cognome diventò Svalinn, come l'armatura che lo aveva protetto.
    Dopo l'incidente dei terroristi, decise di prendere in mano le redini del proprio Io, con un solo intento: se non avesse potuto aiutare sé stesso, avrebbe aiutato gli altri.
    Il suo carattere amichevole iniziò a manifestarsi, assieme alla sua ironia e al suo sarcasmo. Decise di dare un nome al sé stesso in armatura: L'Egida d'Acciaio.
    Quando la indossava, poteva far finta di avere qualcosa dentro, e non solo vuoto e tristezza.

    Background

    Figlio apparentemente non voluto di una donna di rilievo zaunita, a sua volta erede di una società affermata in ambito energetico, Alexander si è visto rinnegato dalla sua stessa madre da quando ha memoria. Non ha mai capito perché e non ha mai avuto occasione di poterlo sapere.
    Crebbe praticamente da solo, in un'abitazione parzialmente restaurata giusto per dargli un tetto sulla testa. Vi era qualche servo che si prendeva cura di tutto, ma solo perché vi era una continua minaccia di controllo a sorpresa del lavoro. Minaccia che non avrebbe mai avuto manifestazioni, tra l'altro. Frequentava la scuola pubblica, e il suo disagio interiore si mostrò anche lì. Veniva deriso e fatto beffe della sua stazza. Un bambino grande e grosso. Il fisico gli era naturale e, seguendo consigli sentiti in giro, iniziò ad allenarsi, senza mai affaticarsi troppo. Era abbastanza intelligente, ma si sentiva vuoto e sentiva di essere sempre meno accettato.
    Durante gli anni dell'adolescenza, scoprì la sua passione per la meccanica. Non appena poté, mollò la scuola pubblica e si dedicò, da autodidatta, allo studio dei sistemi meccanici, tecnologici e, in parte, dell'Hextech. Passarono gli anni. I servi erano ormai diventati superflui e Alexander iniziò a vivere completamente da solo. Mai in tutti quegli anni la madre si era degnata di porgli un saluto o di chiedergli della sua situazione. Non aveva un minimo di riguardo nemmeno per suo figlio, ma i dubbi maggiori lo assalirono su un'altra questione: chi era suo padre? Qualche criminale? Non poteva saperlo e sperava, prima o poi, di scoprirlo.
    Grazie ai suoi studi, e ai materiali racimolati in giro o comprati con i fondi “gentilmente” donati dalla sua genitrice a causa del vincolo legale di avere un figlio minorenne, Alexander riuscì in una piccola impresa: costruì il prototipo di un esoscheletro potenziante, che avrebbe aumentato la forza, l'equilibrio e la resistenza di chiunque lo indossasse. Notò con tristezza, però, che in tutte le sue prove non riusciva a farlo funzionare a dovere. Ricalibrò, smontò, rimontò e cambiò i pezzi per trovare la combinazione adatta e funzionante. Dedicò tantissimo tempo alla sua creazione, sviluppando una sorta di legame con essa.
    Capì di esserci riuscito quando, una sera, giusto dopo aver finito di lavorarci, si sentì un rumore fortissimo. Passi pesanti e veloci si dirigevano verso la stanza adibita ad officina. Spaventato e ignaro di cosa lo aspettasse, Alexander decise di indossare l'esoscheletro. Fece giusto in tempo quando, all'improvviso, la porta si aprì lievemente e un piccolo oggetto ovale fu lanciato nella stanza.
    Il ragazzo non ne aveva mai vista una vera, ma era palesemente una granata. Si gettò a terra, in posizione fetale, consapevole del fatto che il retro dell'esoscheletro non era in grado di assorbire in modo ottimale una deflagrazione del genere. Quando l'ordigno esplose, Alexander venne scaraventato al muro, dolorante, sanguinante e con la parte posteriore del corpo piena di schegge. L'uomo, che indossava un trench nero, si affacciò da ciò che rimaneva della porta per controllare la situazione. Vide il corpo del giovane accasciato a terra, non molto ferito. Rimase spiacevolmente sorpreso quando Alexander, lentamente, iniziò a mettersi in piedi. Era accecato dalla rabbia e quando si girò e vide l'ospite inaspettato, non aspettò nemmeno un secondo prima di piombarsi su di lui. Gli diede un pugno in pieno petto e, a causa della forza potenziata dell'esoscheletro, sul petto dell'uomo si creò un foro talmente grande da far separare parte superiore e inferiore del corpo. Tra il sangue e le interiora sparse, nel trench, vi era un biglietto. Vi era l'ordine di ucciderlo perché non più utile, ed era firmato dalla propria madre. Quando finì di leggere rimase distrutto. Quella era la conferma, e non la rivelazione, che era stato solo da sempre. Si ripulì e mise assieme tutto il necessario, compresi i corposi fondi rimanenti. Non sapeva dove andare né cosa fare. Rimase nell'abitazione per tutta la notte, sospettoso che magari, uscendo, avrebbe fatto davvero una brutta fine.
    Stava per addormentarsi quando sentì il suo nome chiamato più e più volte da una voce sconosciuta. Un uomo, probabilmente sulla sessantina, ignorò le minacce iniziali che il ragazzo gli inveiva contro, e riuscì a convincerlo di lasciarlo avvicinare. Si rivelò col nome di Harold Lienitz e gli offrì di abitare nella propria casa. Il giovane accettò riluttante, pronto a tutto, ma fu sorpreso e rassicurato nel vedere che, effettivamente, non c'erano stati brutti incontri. Harold gli raccontò la propria storia, di come avesse fatto parte, un paio di decenni prima, di una spedizione nel Freljord per trovare nuove fonti di energia o nuove riserve. Faceva parte dei piani alti della compagnia della madre di Alexander ma non appena seppe dei suoi piani, non in modo del tutto legale, si era fiondato per tentare di avvertirlo o, nel peggiore dei casi, dargli una sepoltura. Il racconto convinse il ragazzo e i due iniziarono a lavorare assieme.
    Harold si era laureato alle prestigiose Accademie di Zaun e, notando la passione del giovane, gli offrì di fargli da mentore. Lo aiutò nella riparazione e nel miglioramento dell'armatura verso cui Alexander provava sempre più attaccamento e una sorta di... affetto. Per lui era stata l'unica cosa che l'avesse veramente salvato, l'unica cosa che gli avesse davvero fatto compagnia. Un freddo pezzo d'acciaio era la cosa più calda e umana che avesse. La chiamò Svalinn, scudo leggendario delle storie Freljordiane che aveva letto nel molto tempo libero avuto. Si era fatto una cultura generale di tutto ciò che c'era nel mondo, ma purtroppo non era mai stato in grado di vederlo personalmente.
    Passarono altri anni. Alexander iniziò a fidarsi di Harold e, insieme al vecchio, migliorò notevolmente Svalinn. Il suo passato continuava a tormentarlo senza tregua, senza che riuscisse a liberarsene. Si sentiva vuoto e spaesato, senza uno scopo prefissato se non aggiustare e migliorare la sua compagna e continuare i suoi allenamenti fisici.
    Stava per indossare e provare Svalinn quando, all'improvviso, un gruppo di criminali si barricò nel palazzo di fronte a lui. La sicurezza accorse immediatamente e, nella confusione generale, i balordi affermarono di essere disposti a farsi esplodere a mo' di protesta per l'eccessivo disrispetto di Zaun nei confronti della natura. Per quanto nobile potessero essere i loro ideali, i loro metodi erano da veri e propri terroristi.
    Fu ordinato a tutti di andarsene, ma Alexander non poteva sopportare il rischio di perdere qualcos'altro. Non di nuovo.
    Indossò appieno l'armatura. Di colore grigio scuro uniforme, l'armatura, composta da vari strati di materiali dediti a darle resistenza e a proteggere il “pilota”, era estremamente pesante e, grazie ai sistemi per l'aumento delle capacità, leggera allo stesso tempo. Era modellata esattamente sul corpo di Alexander e, grazie ai sistemi installati da Harold, solo lui era in grado di azionarla. L'elmo possedeva un respiratore con due filtri laterali per evitare di essere intossicato da veleni o fumogeni, mentre il visore, a T, poteva richiudersi e mostrare le immagini internamente grazie a delle telecamere apposite sui pannelli che lo andavano a coprire, donandogli tutti i benefici dei visori notturni e termici.
    La corazza era possente, resistente e potente, ma non aveva veri e propri sistemi offensivi. Quando si ritrovò ad uscire per affrontare le persone che minacciavano la sicurezza di un intero quartiere, si rese conto di non avere armi. Si guardò in giro, e la cosa più adatta che riuscì a trovare fu un maglio. Lo prese con decisione e si diresse verso il retro dell'edificio, prendendo un giro largo e approfittando di non essere notato tra i vicoli mentre c'era tutto quel trambusto.
    La porta sul retro era aperta, quindi entrò senza problemi. Non c'era anima viva e tutte le vie erano libere, quindi si diresse alla stanza in cui si trovavano i disadattati. Era chiusa. La sfondò con il maglio, mandandola in mille pezzi. Vi erano tre individui. L'unica donna dei tre si diresse verso di lui con un lungo coltello, provando a fargli del male. La lama sul pettorale scatenò qualche scintilla e nulla più. Mentre Alexander la osservava, mimando un “No” con la testa, prese il maglio e con forza la scaraventò via, forse anche uccidendola. Il terzo iniziò a sparargli contro. I proiettili erano quasi inutili, a parte un rallentamento del ragazzo dovuto alla paura di essere sparato. Alexander si avvicinò allo sciocco, alzò il maglio sulla propria testa e con tutta la forza possibile glielo diede in testa, generando uno spettacolo non molto piacevole. Fissò per un paio di secondi la scena, poi diresse lo sguardo verso l'uomo rimanente. Non aveva segni particolari. Non era dei bassifondi né delle zone alte. Un normale cittadino, a prima vista. Non ci si può fidare proprio di nessuno a quanto pare. All'improvviso, l'uomo cacciò una granata dalla giacca. Il giovane lo osservò, stringendo i denti. Non si smosse alle minacce e dopo ciò che sembrava un'eternità partì all'attacco, usando il maglio come una mazza e tranciando di netto la mano del poveraccio, buttando via la granata. “Punto, set e match.” gli disse con odio, con la voce filtrata dall'elmo, prima di dargli un pugno non troppo forte in modo da stordirlo per portarlo giù. La granata, però, era stata già innescata e, dopo essersi buttato a terra in posizione fetale, con l'uomo al sicuro sotto di sé, esplose. La deflagrazione fece, fortunatamente, crollare solo un paio di piani. I due si trovavano al quarto e, quando si accorse che con un maglio non riusciva a spezzare le travi che gli bloccavano la strada, decise di prendere l'uomo in spalla e buttarsi, sapendo che la sua Svalinn non l'avrebbe tradito. L'atterraggio fu pesante e alzò un polverone, ma effettivamente i sistemi dell'armatura avevano assorbito tutto e nessuno dei due si era fatto nulla, o almeno, non avevano subito ulteriori danni. Quando la polvere si diradò, dopo un iniziale confusione, Alexander fu acclamato dagli astanti come una sorta di eroe. Consegnò il terrorista monco alla sicurezza e, mentre se ne andava verso l'abitazione di Harold, trovò il proprietario sul ciglio che lo guardava soddisfatto, congratulandosi.
    Alexander capì, però.
    Capì che per aiutare sé stesso avrebbe dovuto aiutare gli altri.
    Sviluppò, con Harold, uno speciale martello dotato di sistemi propulsivi sul retro. Quando lo voleva con un apposito pulsante, la testa frontale del martello si apriva a metà, entrambe le parti dotate anch'esse di micro-propulsori che potevano essere diretti in tutte le direzioni, lasciando spazio ad un'ascia con lama energizzata. Ciò era dovuto al ricordo di non essere riuscito a tranciare la trave che gli bloccava la strada. Dopo qualche settimana era pronto e, con le tecniche usate, vi erano già altri progetti in mente, come dei propulsori per l'armatura stessa. Svanill, in quello stato, era piccola. Sarebbe diventata l'armatura migliore che il mondo avesse mai visto. Alexander era fiero del suo operato, e Harold sembrava contento.
    Aiutare gli altri. Continuava a ripeterselo. Ometteva apposta la seconda parte della frase per evitare di essere sopraffatto da pensieri egoisti.
    Alexander decise di essere un esempio di come non bisognasse lasciare ad altri la decisione riguardo le proprie scelte e il proprio destino.

      La data/ora di oggi è Sab Apr 27, 2024 5:49 am